di Redazione
Dal 15 agosto è disponibile (su Netflix) la prima parte della quarta stagione di di “Emily in Paris”, che pronta a catturare il pubblico con nuovi scenari mozzafiato
e abiti spettacolari. L’iconica protagonista, Emily Cooper, abbandona temporaneamente le strade di Parigi per esplorare la bellezza senza tempo di Roma in compagnia, tra i vari personaggi, del
capo dell’agenzia dove lavora Sylvie Grateau e della new entry Raoul Bova.
Nel corso della stagione, Emily si destreggerà tra avventure romantiche, lavorative e, naturalmente, fashion. In attesa di vedere l’eccentrica e simpatica protagonista della serie avventurarsi
per le strade italiane, i fan possono già sbirciare nei trailer alcuni degli ensemble che caratterizzeranno il suo stile nella nuova stagione. Con l'arrivo di Emily a Roma, Babbel (l'ecosistema leader nell’apprendimento delle lingue) presenta un curioso glossario dedicato
alla moda italiana e internazionale, pensato per gli spettatori neofiti di questo settore. Così come Emily scopre i segreti della moda romana, il pubblico può approfondire il vocabolario di
questo settore grazie a risorse come la lezione "Parlare di vestiti e colori" offerta da Babbel Live, un supporto utile per chi è interessato a navigare in un mondo della moda sempre più
internazionale, dove orientarsi tra le diverse lingue può facilitare una comprensione reciproca.
I SEGRETI DIETRO I CAPI PROTAGONISTI DELLA SERIE
La costume designer Marylin Fitoussi con il supporto della costumista Patricia Field (principalmente nota per il suo lavoro in “Sex and the City”), hanno
realizzato tutti gli outfit della serie con un occhio attento all’evoluzione dei personaggi, che passa anche dai vestiti e dagli accessori che scelgono. Essere estremamente “overdressed”,
ricreare un “French style” elegante e sperimentare fantasie per andare contro le “fashion rules”: la moda nella serie è una questione di abbinamenti audaci, di scelte originali e di una profonda
conoscenza delle origini e dell’impatto culturale e linguistico dei capi selezionati.
Tote Bag: è una borsa ampia e spaziosa, solitamente realizzata in tela, con due manici paralleli che permettono di portarla a mano o a
spalla. Il termine "tote" deriva dal verbo inglese "to tote", che significa "portare". Sebbene le prime attestazioni di borse simili risalgano al XVII secolo, è solo nel XX secolo che iniziarono
ad essere utilizzate nella quotidianità, riscontrando poi una grande popolarità nell’ultimo decennio. In italiano si usa spesso l’inglese "tote bag", ma è anche chiamata "borsa shopper" o
semplicemente "shopper"; in francese, invece, è "sac fourre-tout", che si traduce letteralmente come "borsa tuttofare", mentre in tedesco è "Tragetasche", che significa "borsa da trasporto". La
tote bag è un simbolo di praticità e sostenibilità, una borsa per ogni tipo di occasione, dal lavoro allo shopping grazie alla sua versatilità e capacità di contenere una grande varietà di
oggetti.
Hot-pants: gli "hot-pants" sono pantaloncini estremamente corti e aderenti, che lasciano gran parte delle gambe scoperte. Il termine è stato
coniato dalla rivista di moda statunitense “Women's Wear Daily” nel 1970, utilizzando la parola "hot" per enfatizzare la natura provocante e sensuale di questo capo d'abbigliamento. Gli hot-pants
divennero particolarmente popolari negli anni '70, riflettendo l'emancipazione femminile e la rivoluzione sessuale di quel decennio. Sebbene pantaloncini simili esistessero già dagli anni '30,
indossati principalmente come abbigliamento sportivo o da spiaggia, la vera innovazione dell’epoca fu l’impiego di tessuti considerati allora non convenzionali, come il velluto, la seta, il
crochet, la pelliccia e la pelle. Molti studiosi e critici attribuiscono a Mariuccia Mandelli, fondatrice del marchio italiano Krizia, la creazione dei primi "hot-pants". Anche Mary Quant, una
delle stiliste icone della “swinging London” ed inventrice della minigonna, introdusse già verso la fine degli anni ‘60 pantaloncini che richiamavano gli “hot pants”, sebbene questi fossero
pensati solamente come mutandine da indossare sotto i minidress. Numerose lingue come, per esempio, in francese e tedesco, mantengono il termine inglese mentre in italiano questo capo è spesso
descritto con espressioni più generiche come "pantaloncini corti" o "short".
Cardigan: il "cardigan" prende il nome da James Thomas Brudenell, VII conte di Cardigan, ricordato per il suo ruolo nella Guerra di Crimea
(1853-1856): le cronache dell’epoca dicono che fosse solito indossare dei maglioni a maglia con i bottoni durante le battaglie. Il concetto dietro a questo capo (un indumento fatto a maglia, a
maniche lunghe, aperto sul davanti) risale a molti secoli prima del XIX secolo quando venne popolarizzato dal conte di Cardigan e dai soldati britannici che lo apprezzavano particolarmente per la
capacità di fornire calore senza essere eccessivamente ingombrante; tuttavia, non è possibile stabilire il nome dell’inventore o il preciso momento in cui iniziò ad essere cucito e poi indossato.
Questa parola rimane invariata in numerose lingue europee come l’italiano, l’inglese, il francese e il tedesco.
Dolcevita: il dolcevita, noto come "turtleneck" in inglese, "col roulé" in francese, e "Rollkragenpullover" in tedesco, è un capo simbolo
della moda italiana. Il termine si lega culturalmente all’Italia degli anni ‘50 e ‘60, un’epoca in cui il Belpaese iniziò ad essere conosciuto in tutto il mondo per la sua eleganza e il suo
fascino, specialmente attraverso il cinema. La parola evoca lo stile di vita sofisticato e mondano rappresentato nel celebre film "La Dolce Vita" di Federico Fellini (1960). Ma non solo: un altro
termine “figlio” di questo lungometraggio è il maglione a collo alto, il “dolcevita”, particolarmente amato da Mastroianni che interpreta uno dei protagonisti; sebbene non si sappia con certezza
quando si è iniziato ad utilizzare questa parola per riferirsi a quel particolare capo, essa ha preso sempre più piede dalla fine degli anni ‘60 per descrivere quello che poi è diventato un pezzo
essenziale del guardaroba.
Pantaloni Palazzo: i "pantaloni palazzo", caratterizzati da una gamba ampia e svasata che si allarga dalla vita fino all'orlo in basso,
raggiunsero per la prima volta la popolarità nel corso degli anni '70, diventando rapidamente un elemento centrale delle collezioni di moda dell'epoca. "Palazzo" non si riferisce alla verticalità
o alla svasatura dei pantaloni, ma ha origine in un’espressione coniata nel 1960 da Diana Vreeland, una delle più influenti redattrici di moda del XX secolo. Vreeland, negli anni '60 direttrice
di Vogue America, utilizzò il termine "palazzo" per definire i completi da sera creati dalla stilista italiana Irene Galitzine. Galatzine conquistò la fama internazionale negli anni ‘60 con
l'invenzione dei "palazzo pyjamas", un capo rivoluzionario che combinava l'eleganza di un abito con il comfort di un pigiama; questi outfit, composti da pantaloni abbinati a top lunghi e
riccamente decorati, erano indossati nei sontuosi palazzi nobiliari italiani durante ricevimenti mondani. Il termine "palazzo" fu così associato alla raffinatezza degli ambienti in cui questi
capi venivano originariamente sfoggiati. Interessante sottolineare che sia in inglese sia in francese si mantiene il riferimento alla cultura italiana (rispettivamente “palazzo pants” e
“pantalons palazzo”).
Pantaloni Pinocchietto / Capri Pants: i "pantaloni pinocchietto", conosciuti in inglese come "Capri pants", sono un tipo di pantalone che
arriva appena sotto il ginocchio o a metà polpaccio. Concepiti dalla stilista tedesca Sonja de Lennart nel 1948, il nome "Capri" è legato alla loro popolarità a Capri negli anni '50: proprio
sull’isola partenopea venivano indossati da celebrità in visita come Audrey Hepburn e Jackie Kennedy, contribuendo a consolidare il loro status di icone di stile e trendsetter in fatto di moda.
Invece, la parola italiana "pinocchietto" richiama Pinocchio, tradizionalmente rappresentato come un burattino che indossa proprio dei calzoni sopra il ginocchio.
Polo: è una maglietta a maniche corte con colletto e abbottonatura parziale, spesso dotata di una tasca sul petto. Il termine "polo" deriva
dal gioco omonimo, uno sport di origine persiana conosciuto come "chogan", che divenne popolare nel Regno Unito durante il periodo coloniale “importato” dall’India. Il nome "polo" proviene
probabilmente dal termine "pulu", utilizzato nella lingua balti parlata nella regione del Baltistan per riferirsi alla palla usata nel gioco. Sebbene la maglietta prenda il nome da questo sport,
fu poi il tennista francese René Lacoste negli anni '20 a creare quella che è conosciuta oggi come "polo": Lacoste introdusse questa maglietta come un'alternativa più confortevole alla camicia
formale per il tennis, in grado di combinare praticità ed eleganza; da allora, la "polo" è diventata un capo essenziale nel guardaroba casual e formale, mantenendo il nome originario in italiano,
inglese, francese e tedesco.
crediti foto: Courtesy of Babbel